ASPIRAZIONI A GESU'

Procuriamoci un Crocifisso benedetto con l’applicazione delle Indulgenze, specialmente della Plenaria in punto di morte, portandolo sempre al collo.

Di notte, quando ci svegliamo e non possiamo dormire, se avremo il Crocifisso con noi, potremo prenderlo e baciarlo e trovare in Gesù la vera luce che illumina la mente anche nelle tenebre della notte, dicendo intanto al nostro diletto Signore:

Io sopra un morbido letto, e voi, caro Gesù, sul patibolo! Io cerco riposo e voi per me agonizzaste inchiodato sulla Croce! Ah! Gesù, fate almeno che io arda sempre di amore per voi!

Se poi nella mattina levandoci baceremo nuovamente il Crocifisso con amore, e prometteremo a Gesù di portare la nostra croce in unione alla sua; se lungo il giorno procureremo di baciarlo sovente, e per ravvivare il nostro fervore lo stringeremo spesso al nostro cuore; se, soprattutto in momenti di tentazione, di inquietudine, ricorreremo a Lui, Egli sarà certamente per noi il conforto, il sostegno, l’aiuto, il compagno invisibile.

In Gesù, dunque, nostro Dio, noi troveremo tutto quello che possiamo desiderare.

Egli ci guarderà nel corso della vita, ci assisterà in morte, e sarà la nostra ricompensa nell’eternità; ove noi dovremo tutta la nostra felicità al caro Gesù Crocifisso.

(Manuale di Filotea)

ELEMENTI DI CATECHESI - 32: UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA

Qual è la Chiesa di Gesù Cristo?
La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa Cattolica-Romana, perché essa sola è una, santa, cattolica e apostolica, quale Egli la volle.

La Chiesa di Gesù Cristo è una sola, perché unico è il suo fondamento. Gesù disse: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16, 18), non “le mie Chiese”.
Attualmente vi sono infatti molte chiese che si dicono cristiane, e ciascuna vuole essere l'unica Chiesa di Gesù Cristo, la sola santa, cattolica e apostolica. Ognuna delle innumerevoli chiese protestanti (luterana, calvinista, zuingliana, presbiteriana, quacchera, battista, anabattista, evangelica, mormona, anglicana, esercito della salvezza, ecc. ecc.) vuole essere l'unica Chiesa di Cristo. La stessa pretesa avanza ciascuna delle chiese d'oriente (chiesa russa, greca, romana, bulgara, jugoslava, monofisita, nestoriana, ecc.).

La Chiesa cattolica romana è l'unica che può dimostrare di essere veramente la Chiesa di Cristo, sotto tutti gli aspetti.

RIFLETTO:
La devozione alla santissima Vergine è una delle caratteristiche più evidenti della vera Chiesa di Cristo.

SANTA LUCIA, ORA PRO NOBIS

"Coloro che vivono castamente e piamente sono tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in essi".

LA VITA
Sul finire del III secolo (tra il 280 e il 290 d.C.) nacque nella città di Siracusa S. Lucia. Tale città era molto fiorente, e conobbe il cristianesimo per merito del vescovo S. Marziano; la fede in Cristo, nonostante le persecuzioni, si era molto diffusa, e Siracusa contava un discreto numero di chiese e catacombe.
S. Lucia apparteneva ad una nobile famiglia, proprietaria di vasti terreni; era orfana di padre dall'età di cinque anni, e viveva con la madre, Eutichia. La sua famiglia probabilmente era già cristiana. La bimba siracusana cresceva bella e buona, soprattutto aveva molta modestia nel portamento: la giovane infatti si era consacrata al Signore con un voto di verginità, mentre la madre, all'oscuro del desiderio della figlia, già pensava a come renderla felice tramite un buon matrimonio.

Nel 231, nella vicina città di Catania, sant'Agata era morta martire sotto la persecuzione di Decio: moltissimi cristiani andavano in pellegrinaggio alla tomba della santa, perché lì erano numerosi i miracoli per l'intercessione della martire. Accadde che nell'anno 301 anche Lucia e sua madre andarono in pellegrinaggio per ottenere la grazia della guarigione di Eutichia: la madre della santa, infatti, era affetta da gravi emorragie, per le quali non aveva alcuna speranza di guarire se non tramite un miracolo.

NOVENA PER LA SOLENNITA’ DEL SANTISSIMO NATALE (dal 16 dicembre)

ISTRUZIONE:
La Chiesa saggiamente ha stabilito che alla solennità del SS. Natale preceda l’Avvento, cioè quattro settimane di preparazione, in memoria dei quattromila anni da Adamo fino alla venuta del nostro divino Redentore. Nell’Avvento il cristiano, per corrispondere alle intenzioni della Chiesa, procurerà di essere più mortificato, sia nel custodire i propri sentimenti e combattere le disordinate passioni, sia nell’osservare, per quanto è possibile, i digiuni prescritti, specialmente nella Vigilia del Natale; ed ancora abbonderà in opere buone, accostandosi ai Sacramenti, perché così Gesù nasca in lui spiritualmente. 

La solennità del SS. Natale è la festa più cara ai cuori cristiani perché ricorda la nascita temporale del Messia aspettato da tanti secoli; e ricorda le meraviglie operatesi in Betlemme, dove, in una capanna, da Maria nacque il Redentore del mondo, mentre il coro degli Angeli cantava l’inno di gioia: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà.
 
In questa solennità si celebrano dai sacerdoti tre Messe, di cui la prima ricorda la nascita temporale di Gesù in Betlemme ed anche la spirituale nel cuore dei giusti per la sua grazia; la seconda l'adorazione fatta dai pastori al divino Bambino; la terza rappresenta la sua eterna generazione dal Padre: le tre Messe sono anche per onorare le tre Persone della SS. Trinità che concorsero nel gran Mistero. Quantunque sia ottima cosa per il cristiano assistere in tale solennità alle tre Messe, non vi è però obbligo: e perciò basta, al precetto della festa, ascoltarne una qualsiasi delle tre.

CONTRO IL MODERNISMO - 6: I GERMOGLI DELLA FEDE. SEGUITO DELL'ESPOSIZIONE DELLA FILOSOFIA RELIGIOSA (parte prima)

Nella teologia modernista la fede avrebbe dei “germogli”, quali la Chiesa, i dogmi, le cose sacre e i libri santi.

Cominciamo con il dogma. Per i modernisti, esso nasce da un impulso o bisogno del credente; questi elabora il dogma nei suoi pensieri, cioè investiga e abbellisce la primitiva formula del dogma. Tale elaborazione non avviene secondo una specifica logica, ma secondo una serie di circostanze, oppure, come dicono i modernisti, avviene vitalmente.
Il risultato è che alla primitiva formula del dogma si aggregano a poco a poco formule secondarie, le quali, congiunte in una costruzione dottrinale, qualora vengano sancite dal magistero pubblico come confacenti alla coscienza comune, prendono il nome di dogmi.
Le speculazioni teologiche, sebbene i modernisti le distinguano dal dogma in sé, vengono considerate utili, sia per mettere d'accordo scienza e religione, sia per illustrare all'esterno la religione stessa e difenderla; forse, possono essere utili per preparare la materia per qualche dogma futuro.

La dottrina modernista dei teologi riguardo il culto sacro è piena di errori, specie riguardo i Sacramenti.
Secondo i modernisti, il culto sorge da un doppio impulso o da una doppia necessità. [Il sistema dei modernisti funziona solo tramite intimi impulsi o necessità...] Il primo impulso sarebbe per dare qualcosa di sensibile alla religione; il secondo, per propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e qualche atto di consacrazione che chiamano Sacramenti.

FIDUCIA IN GESU' CROCIFISSO

Sia in noi un sommo orrore al peccato non solo mortale, ma anche veniale deliberato, poiché Gesù Cristo ci dice: Chi sarà infedele nel poco, diverrà pure infedele nel molto.

Difatti le grandi cadute di Caino, Saulle, Giuda ed altri ebbero principio dal non essere stati fedeli nel poco; ed altrettanto accadrà a noi, se non saremo vigilanti a fuggire i peccati veniali. A tal fine procuriamo di fare ogni giorno almeno un quarto d’ora di meditazione sulle massime eterne: Ricordati de’ tuoi Novissimi dice il Signore, se vuoi star sempre lontano dal peccato.

Promettete, scriveva Santa Teresa, di fare un quarto d’ora di meditazione ogni giorno, ed io nel nome di Gesù Cristo vi prometto il Paradiso.

Per mezzo della meditazione San Francesco Saverio divenne tutto di Dio; così dicasi di innumerevoli altri Santi. Facciamo speciale soggetto della nostra meditazione i dolori di Gesù Crocifisso, poiché insegna San Bonaventura che non c’è pratica più utile a santificare un’anima che la meditazione dei patimenti di Gesù Cristo: onde ci consiglia a meditare ogni giorno la passione del divino Salvatore, se vogliamo progredire nell’amore divino.

Sant’Agostino poi dice: Vale più una lacrima sparsa per la memoria della Passione, che il digiuno in pane ed acqua continuato in una settimana.

Perciò i Santi si sono sempre occupati a considerare i dolori di Gesù Cristo; San Francesco d'Assisi per tal mezzo diventò un serafino di carità, esclamando sovente: Il mio libro è Gesù Crocifisso.

Mettiamo nel Crocifisso Signore tutta la confidenza, ricordandoci della massima: Chi niente spera, niente ottiene; chi poco spera, poco ottiene; chi tutto spera, tutto ottiene.

(Manuale di Filotea)

SAN PIETRO APOSTOLO

"Voi dunque, o fratelli, istruiti per tempo, siate in guardia, affinché trascinati dall'errore degli stolti non abbiate a vacillare nella vostra fermezza. Anzi crescete nella grazia e nella conoscenza del Signor nostro Gesù Cristo. A Lui gloria, adesso e nel giorno dell'eternità. Amen."

San Pietro è l'apostolo che Gesù Cristo scelse come primo papa della Chiesa.
“E voi,” chiese loro “chi dite che Io sia?”. Simon Pietro rispose: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente”. Gesù gli replicò: “Tu sei beato, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che tu scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. (Mt 16, 15-19)
La grandezza di S. Pietro consiste proprio nell'esser stato nominato Primo Sommo Pontefice, Vicario di Cristo, Capo visibile della Chiesa di Dio, pietra angolare su cui si regge la Chiesa. Nessun successore ha voluto chiamarsi Pietro, per rispetto al santo apostolo.

LA VITA
Nacque a Bethsaida in Galilea, ed era un pescatore del lago di Tiberiade insieme a suo fratello Andrea. Il nome di S. Pietro era Simone, che in ebraico significa “Dio ha ascoltato”. Era sposato e adottò un piccolo discepolo di Gesù, di nome Marziam. S. Pietro conobbe Gesù Cristo tramite il fratello Andrea, che, dopo aver ascoltato l’esclamazione di Giovanni Battista “Ecco l’Agnello di Dio!” indicando Gesù, si era recato a conoscerlo ed ascoltarlo; convintosi, condusse anche Simone da Gesù. Pietro e Andrea furono i primi Apostoli che Gesù chiamò a sé.

LEZIONE DI GESU' CRISTO AI SUOI SACERDOTI

Manca poco alla salita al Cielo del Signore. Gesù raduna i suoi Apostoli e li istruisce riguardo la loro missione del Sacerdozio.

"Considerate che contro di voi cospira il mondo, l'età, le malattie, il tempo, le persecuzioni. Non vogliate perciò essere avari di ciò che avete avuto e imprudenti. Trasmettete per questo in Nome mio il Sacerdozio ai migliori fra i discepoli, perché la Terra non resti senza sacerdoti. E sia carattere sacro concesso dopo acuto esame, non verbale ma delle azioni di colui che richiede di essere sacerdote, o di colui che voi giudicate buono ad esserlo.
Pensate a ciò che è il Sacerdote. Al bene che può fare. Al male che può fare. Avete avuto l'esempio di ciò che può fare un sacerdozio decaduto dal suo carattere sacro. In verità vi dico che per le colpe del Tempio questa nazione sarà dispersa. Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l'abominio della desolazione entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all'apostasia per abbracciare le dottrine dell'Inferno. Allora sorgerà il figlio di Satana e i popoli gemeranno in un tremendo spavento, pochi restando fedeli al Signore, e allora anche, fra convulsioni d'orrore, verrà la fine dopo la vittoria di Dio e dei suoi pochi eletti, e l'ira di Dio su tutti i maledetti. Guai, tre volte guai se, a confortare gli ultimi cristiani, non ci saranno veri Sacerdoti come ci saranno per i primi.

ELEMENTI DI CATECHESI - 31: LA CHIESA

Che cos'è la Chiesa?
La Chiesa è la società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e la dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi Sacramenti e ubbidiscono ai Pastori stabiliti da Lui.

Per formare una società, occorre che vi siano più persone, che tendono ad uno stesso fine, sotto la guida dell'autorità e delle leggi. Così è la Chiesa, perché comprende una moltitudine di individui, sottoposti alla legge di Cristo, che tendono al fine comune (la salvezza eterna), sotto la guida dei legittimi Pastori.

Solo il Battesimo è la porta d'ingresso della Chiesa: è l'atto che fa membri della società di Cristo e sottopone all'obbligo di vivere in conformità alla fede e alla legge cristiana, per poter raggiungere il fine comune della salvezza eterna.

Per essere veri ed effettivi membri della Chiesa, però, non basta il Battesimo, ma occorre conoscere e osservare le leggi di Dio. La Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo la Rivelazione, un complesso di verità e misteri soprannaturali da custodire, difendere, insegnare e tramandare; verità e misteri che i battezzati devono credere con la fede e praticare con le opere. Coloro che non credono o non mettono in pratica ciò in cui credono, non sono veri e perfetti cristiani, anche se battezzati.

PREPARIAMOCI IN TEMPO A MORIR SANTAMENTE

Non basta in morte ricevere i Sacramenti; bisogna morire odiando il peccato, e amando Dio sopra ogni cosa. Ma come odierà i piaceri proibiti chi sino ad allora li avrà amati? Come amerà Dio sopra ogni cosa chi sino a quel punto avrà amato le creature più di Dio?

Tutti temono la morte improvvisa, perché questa non dà tempo di aggiustare i conti con Dio; e confessano che i Santi sono stati i veri savi, perché si son preparati alla morte prima che arrivasse la sua venuta.

Noi invece vogliamo metterci in pericolo di morir male, aspettando a prepararci alla morte quando questa sarà vicina?

Bisogna che facciamo adesso quel che vorremmo aver fatto in morte, e così non saremo obbligati a dire nella maggiore desolazione dell’animo: Io potevo e non ho voluto; ora che vorrei, non posso!

Se quindi adesso conosciamo di non essere in grazia di Dio, dobbiamo procurare di mettervici con una buona Confessione, anche generale di tutta la nostra vita, se non l’avessimo mai fatta; poi adopereremo i mezzi necessari per conservarci costantemente nella divina amicizia.

(Manuale di Filotea)

ORAZIONI A SOLLIEVO DELLE ANIME PURGANTI

Nella Catechesi n.30, abbiamo parlato delle Anime Purganti e di alcuni metodi utilizzati per poter abbreviare il loro debito che le trattiene nel doloroso Purgatorio.
Proponiamo dunque due preghiere di grande efficacia a sollievo di quelle Anime sante. Ricordiamoci che, pregando per loro, esse sicuramente non si scorderanno di chi le ha beneficiate per poter raggiungere il Paradiso!

TI ADORO O CROCE SANTA
Questa preghiera venne confermata dai Papi Adriano VI e Gregorio XIII. Se recitata 33 volte il Venerdì Santo, libera 33 anime dal Purgatorio; se invece viene recitata 50 volte in tutti gli altri venerdì dell'anno, libera 5 anime dal Purgatorio.

"Ti adoro, o Croce Santa, che fosti ornata del Corpo Sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me. Ti adoro, o Croce Santa, per amore di Colui che è il mio Signore. Amen".

PREGHIERE INDULGENZIATE PER OGNI GIORNO DELLA SETTIMANA
Questa preghiera venne confermata dal Sommo Potefice Leone XII, nel 1826.

CONTRO IL MODERNISMO - 5: IL MODERNISTA TEOLOGO

Cerchiamo di capire come si muovono i modernisti in campo teologico.

Innanzitutto, come abbiamo concluso nel precedente capitolo, i modernisti mettono fede e scienza in rapporto tale che la prima sia soggetta alla seconda. Il compito del modernista teologo è proprio quello di conciliare fede e scienza secondo questo rapporto, utilizzando gli stessi principi che usa il filosofo e adattandoli al credente: i principi, come abbiamo detto, dell'immanenza e del simbolismo.

Il procedimento è dunque questo: il filosofo afferma che il principio della fede è immanente; il credente aggiunge che tale principio è Dio; allora il teologo conclude che Dio è immanente nell'uomo. Da qui, l'immanenza teologica.

Ancora: il filosofo è sicuro che le rappresentazioni dell'oggetto della fede sono semplicemente simboliche; il credente è altrettanto certo che l'oggetto della fede è Dio in se stesso; il teologo perciò conclude che le rappresentazioni della realtà divina sono simboliche. Da qui, il simbolismo teologico.

[Questi errori madornali dell'immanenza e del simbolismo teologico che affermano i modernisti si scoprono ancora più gravi quando si esaminano le conseguenze che ne derivano...]

IL RACCONTO DI SANTA PERPETUA MARTIRE

Siamo a Cartagine, Africa del Nord, anno 203. Vennero arrestati i seguenti giovani catecumeni: Revocato con Felicita sua compagna di schiavitù; Saturnino e Secondulo; e con essi anche Vibia Perpetua, di civile condizione, signorilmente educata, sposata secondo le regole delle matrone. Essa aveva ancora padre e madre, due fratelli, uno dei quali parimenti catecumeno, ed un bambinello lattante. Era in età di circa ventidue anni. Perpetua ha narrato essa stessa la storia del proprio martirio e ce ne ha lasciato memoria scritta di sua mano e secondo le sue impressioni.

"Quando ancora eravamo sotto vigilanza di coloro che ci avevano arrestate, e mio padre cercava con le sue parole di farmi recedere dal mio proposito e, mosso dal proprio affetto, si ostinava a scuotere la mia fede, io gli dissi: Padre mio, vedi, a mo' d'esempio il vaso che sta lì sia esso di coccio o altro?. Egli mi rispose: Lo vedo. Ed io a lui: Forse che si può designare con un nome diverso da quello che esso è?. Rispose: No. Ed io: Così anch'io non posso chiamarmi in altro modo da'quello che sono: cristiana. Allora il padre mio esasperato da questa parola, si getta su di me come se volesse cavarmi gli occhi; mi malmenò soltanto, e se ne partì sopraffatto dalle suggestioni del demonio. Nei pochi giorni seguenti ringraziai Iddio di essere liberata dalla presenza di mio padre e mi sentii sollevata per la sua lontananza.

In quel periodo di pochi giorni fummo battezzati: e lo Spirito mi fece intendere che non dovevo domandar altro all'acqua lustrale se non la resistenza fisica. Pochi giorni dopo veniamo rinchiusi nel carcere: ne fui spaventata, non avvezza mai qual ero a tale oscurità. O giorno durissimo! Afa opprimente per la gran massa di gente e ruberie dei soldati.

ELEMENTI DI CATECHESI - 30: PURGATORIO, PARADISO, INFERNO

Che cos’è il Purgatorio?
Il Purgatorio è il patimento temporaneo della privazione di Dio, e di altre pene che tolgono dall'anima ogni resto di peccato per renderla degna di vedere Dio.

Se non vi fosse il Purgatorio, l'uso antichissimo della Chiesa e dei fedeli di pregare per i defunti sarebbe inutile e ridicolo. Per quanti sono dannati, è vana e illecita ogni preghiera, poiché dall'Inferno non potranno più uscire. Per quanti sono santi in Cielo, è inutile la nostra preghiera impetratoria e propiziatoria, perché già godono della visione gloriosa di Dio, e non hanno più bisogno di nulla: ai santi possiamo chiedere di potenziare le nostre preghiere e di intercedere per noi.
Quanti invece si trovano in morte in una condizione di peccato leggero non ancora perdonato, o con qualche debito di pena temporanea, poiché si trovano in grazia di Dio non meritano l'Inferno, ma neppure il Paradiso perché non hanno scontato i loro debiti con la divina giustizia. Quindi, è giusto e logico che attendano in un luogo o stato di pena dove possano cancellare ogni loro colpa e debito. Questo luogo è il Purgatorio.
Quando l'anima con la morte rimane libera da legami materiali e non è più attratta dalle cose sensibili, è attratta irresistibilmente a congiungersi con Dio. Ma se non è ancora perfettamente pura, non può avvicinarsi a Lui, che è somma purezza e santità, e si sente respinta perché indegna. Questa separazione da Dio costituisce la massima pena delle Anime Purganti, ed è la stessa che soffrono i dannati (pena del danno). Però, coloro che sono al Purgatorio hanno la certezza di essere ammesse un giorno alla divina presenza, non appena avranno scontato il loro debito: questa sicurezza, mitiga di molto la pena del Purgatorio.

IL VALORE INESTIMABILE DELLA SOFFERENZA

«Sappiate soffrire tutto cristianamente e non temete che nessuna sofferenza, per quanto basso ne sia il suo motivo, resterà senza merito per la vita eterna
Padre Pio

Saper soffrire cristianamente significa accumulare meriti per la vita eterna. Padre Pio è molto chiaro a riguardo: «Nessuna sofferenza […] resterà senza merito per la vita eterna». Nessuna sofferenza: grande o piccola, lunga o breve, nota o nascosta, interiore o esteriore, fisica o morale, nessuna sofferenza – assicura il Santo – «resterà senza merito per la vita eterna».
Tutto ciò è confortante, è vero. Ma ad una condizione precisa, che consiste nel «soffrire tutto cristianamente». Il vero problema è esattamente questo: riesco io a soffrire «cristianamente»? E d’altra parte: che cosa significa soffrire «cristianamente»? La risposta è semplice: significa soffrire come Gesù Cristo. Ma qui si casca pressoché tutti. Gesù, infatti, ha sofferto unicamente e perfettissimamente per amore di Dio e per amore degli uomini da salvare, secondo quei primi e massimi comandamenti nei quali si racchiudono l’intera Legge e i Profeti: «Ama Dio con tutto il tuo cuore» (Mt 22,37).

Soffrire per amore e con amore, questo è il soffrire di Cristo, questo è il soffrire «cristianamente», come scrive Padre Pio. Soffrire per amore e con amore esclude, ovviamente, il soffrire con rabbia, con ribellione, con impazienza, reagendo con imprecazioni, risentimenti e sentimenti di avversione e di vendetta; soffrire per amore e con amore comporta pazienza, umiltà, rassegnazione, benevolenza, offerta, confidenza nell’aiuto di Dio.

SANT'ALFONSO MARIA DE' LIGUORI, ORA PRO NOBIS

Aforisma
Tutto il bene consiste nell'amar Iddio. E l'amare Dio consiste nel far la sua volontà

La vita

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori nasce il 27 settembre 1696 a Marinella di Napoli da papà Giuseppe de’ Liguori e mamma Anna Maria Caterina Cavalieri, primo di otto fratelli. Come tutti i bambini nati in quel tempo in famiglie nobili, riceve la formazione scolastica tra le mura di casa. Oltre alle materie classiche letterarie e scientifiche apprende con una certa facilità anche la pittura e la musica, diventando anche un bravo compositore. È infatti sua la canzone di Natale “Tu scendi dalle stelle”. A 12 anni si iscrive all’università di giurisprudenza di Napoli, che finisce prima del tempo con il massimo dei voti. Si laurea infatti a soli 17 anni nel 1713 con specializzazione in diritto civile ed ecclesiastico. Dopo due anni di apprendistato inizia la pratica forense e in poco tempo diventa uno dei più conosciuti e bravi avvocati di Napoli. Per otto anni di fila non perde una causa.

Nel 1723 subisce una sconfitta durante un’importante causa e la delusione lo porta a rivalutare un pensiero che aveva avuto fin dalla giovane età: il sacerdozio. Il 29 agosto di quello stesso anno fa la sua promessa davanti ad una statua della Madonna, nel 1724 entra nel noviziato e a 30 anni, il 21 dicembre del 1726 riceve l’ordinazione sacerdotale. Inizia così questo secondo capitolo della sua vita.

PENSIAMO ALLA MORTE

Tutti sono persuasi, dice S. Alfonso, che si deve morire, e morire una sola volta; e che non vi è cosa più importante di quella di morire bene, poiché in punto di morte dipende l’essere beato, oppure infelice per sempre. Inoltre, tutti sanno che dal viver bene o male dipende di regola ordinaria il fare una buona o cattiva morte.

Ma come mai, allora, la maggior parte dei cristiani vive come non dovesse mai arrivare la morte, o come poco importasse il morire bene o male?

Si vive male, perché non si pensa seriamente alla morte; perché si crede che la morte sia molto lontana, e perché si crede di poter in punto di morte rimediare ai disordini della vita. Ma chi ci assicura che per noi la morte è lontana? O che in punto di morte potremo o avremo il tempo di convertirci al Signore?

Dio nella Sacra Scrittura ci intima di pensare seriamente alla morte; ed aggiunge, che questa verrà quando meno ce lo aspettiamo. Medita il tuo ultimo fine, e non peccherai in eterno. Siate preparati, che il Figlio dell’uomo verrà nell’ora in cui non pensate.

Bisogna persuaderci che il tempo della morte non è il tempo adatto per aggiustare i conti con Dio, al fine di assicurarci l’eterna salvezza in Paradiso, perché il tempo della morte è tempo di tempesta e di confusione.

In punto di morte i peccatori chiamano Dio in aiuto, ma per sola paura dell’Inferno, a cui si vedono vicini, senza vera conversione. Perciò giustamente non assaggeranno altro se non i frutti della loro cattiva vita.

L’uomo mieterà ciò che avrà seminato, così scrive san Paolo.

(Manuale di Filotea)

ELEMENTI DI CATECHESI - 29: IL GIUDIZIO

Ci sono due giudizi?
Ci sono due giudizi: l’uno particolare, di ciascuna anima, subito dopo la morte; l’altro universale, di tutti gli uomini, alla fine del mondo.

Il giudizio particolare. Gesù Cristo ha descritto il giudizio particolare tramite una parabola: Un signore, prima d’andarsene in un paese lontano, affidò a ciascuno dei suoi servi una somma di denaro da trafficare, per avere al suo ritorno il capitale e il frutto. Due servi trafficarono il denaro, lo fecero fruttare e al ritorno del padrone gli consegnarono il doppio di quanto avevano ricevuto. Un altro servo invece, per giustificare la sua indolenza, sotterrò il denaro ricevuto per non perderlo. Al suo ritorno il padrone chiamò i servi al rendiconto. I primi due ebbero la lode e il premio del padrone; il terzo invece fu biasimato e severamente punito. (Mt 25, 14-31).

Gesù Cristo è il padrone asceso in cielo. I servi siamo noi, che abbiamo ricevuto doni naturali e soprannaturali perché li traffichiamo e facciamo fruttificare a maggior gloria di Dio e per la salvezza del prossimo. Tutto ciò che siamo e che abbiamo, lo abbiamo ricevuto da Dio: Egli ci chiamerà al rendiconto subito dopo la morte, nel giudizio particolare. Se avremo disposto bene dei nostri doni e ne avremo ricavato frutto, allora saremo premiati; viceversa, se saremo stati oziosi e avremo trascurato di fare il bene, saremo severamente puniti.

SANT'IGNAZIO DI LOYOLA, ORA PRO NOBIS

Aforisma
 
L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l’uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato”. 
 
La vita

Inigo Lopez de Loyola nacque nell’estate del 1491 ad Azpeitia, in Spagna. L’educazione profondamente cattolica che ricevette dalla famiglia lo indirizzò presto alla vita sacerdotale ricevendo la tonsura, il tipico taglio circolare dei capelli cui era sottoposto chi entrava nello stato ecclesiastico, già durante l’infanzia. Ma il cuore del giovane Inigo (nome che poi latinizzerà in Ignazio) era tutto per l’ideale della cavalleria. Al palazzo di Don Juan Velazquez de Cuellar, ministro del re Ferdinando il Cattolico, ricevette la desiderata educazione cavalleresca, acquisendo quelle nobili maniere che sempre lo distingueranno nel corso della vita. Quegli anni giovanili furono un periodo di dispersione e di lontananza da Dio, come Inigo stesso riconobbe all’inizio dell’Autobiografia: “Fino a ventisei anni fui un uomo dedito alle vanità del mondo. Mio diletto preferito era il maneggio delle armi, con grande e vano desiderio di procacciarsi fama.” Il 20 maggio 1521 accadde l’avvenimento che gli cambiò la vita. Passato alla corte del viceré di Navarra, fu coinvolto nella battaglia per difendere il castello di Pamplona dall’attacco dei francesi. Si batté con coraggio, ma venne gravemente ferito ad una gamba da una palla di cannone.

UN UTILE VADEMECUM CATTOLICO SULLA PRATICA OMOSESSUALE, COME ORMAI NON SE NE LEGGONO PIU'

Presentazione [1]

L’omosessualità, o sodomia, sempre considerata dalla coscienza cristiana e occidentale come un vizio obbrobrioso, rivendica oggi visibilità e diritti nella società. Secondo i fautori della nuova ideologia omosessualista, la coscienza civile, che un tempo bollava il peccato contro natura come abominevole, dovrebbe ora riconoscerlo come un bene in sé meritevole di tutela e protezione giuridica. La legge, che un tempo reprimeva l’omosessualità, dovrebbe invece promuoverla, castigando coloro che la rifiutano e la combattono pubblicamente. L’omosessualità, in questa prospettiva, non sarebbe un vizio, e neppure una malattia o deviazione di qualsiasi genere, ma una naturale tendenza umana, da assecondare e garantire, senza porsi il problema della sua moralità. Il Magistero della Chiesa cattolica si situa agli antipodi di questo nefasto relativismo. La Chiesa ha infatti come missione divina di insegnare la verità nel campo della fede e della morale, illuminata dalle parole di Gesù Cristo: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7, 16). L’ambito del suo Magistero non è ristretto agli articoli di fede, ma investe il vasto campo della morale e del diritto naturale. Infatti, come avvertiva San Pio X, «tutte le azioni del cristiano sottostanno al giudizio e alla giurisdizione della Chiesa in quanto sono buone o cattive dal punto di vista morale, cioè in quanto concordano o contrastano col diritto naturale e divino» [2]. In materia di fede e di costumi, perciò il Magistero della Chiesa è «norma prossima e universale di verità» [3]. Il relativismo nega invece il carattere assoluto della Verità e del Bene, per porre come unico criterio quello soggettivo dell’arbitrio umano, presentato come «autodeterminazione» e «liberazione» da ogni vincolo religioso, morale e perfino razionale. L’uomo, in tale prospettiva, è ridotto alla sua istintiva animalità, mera pulsione di istinti, «materia senziente», priva del lume della ragione. Le radici di questa concezione affondano nell’Umanesimo rinascimentale, nel «libero esame» protestante, nelle ideologie illuministe e marxiste, fasi diverse di quel proteiforme processo rivoluzionario che ha come mèta la distruzione totale della Civiltà cristiana e l’instaurazione dell’ anarchia. Questo processo rivoluzionario ha oggi un’espressione parossistica nella pretesa di promuovere l’omosessualità come un valore, e successivamente di imporla come modello di comportamento alla società intera.

ELEMENTI DI CATECHESI - 28: IL RITORNO DI GESU’ CRISTO

Gesù Cristo ritornerà mai più visibilmente su questa terra?
Gesù Cristo ritornerà visibilmente su questa terra alla fine del mondo, per giudicare i vivi e i morti, ossia tutti gli uomini, buoni e cattivi.

Come Dio, Gesù Cristo è in ogni luogo e non ha bisogno di tornare sulla terra; come uomo, si è reso invisibile a noi nell’Ascensione, e anche la sua permanenza nell’Eucarestia è velata dalle specie del pane e del vino. Ora Gesù Cristo è presente su questa terra, ma è invisibile. Tornerà visibilmente un giorno come Egli ha profetizzato: Vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della potenza di Dio e venir sulle nubi del cielo (Mr 14, 62). Anche gli angeli che apparvero agli apostoli subito dopo l’ascensione di Gesù profetizzarono: Quel Gesù che vi è stato tolto, è stato assunto in Cielo e verrà come lo avete veduto andare in Cielo (At 1, 11).
Il ritorno di Gesù avverrà alla fine del mondo, quando il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli si scoteranno (Mt 24, 29). Non ci è dato sapere quando avverranno queste cose, nessuno lo sa, nemmeno gli angeli del cielo, ma solo il Padre (Mt 24,36) perché il giorno del Signore verrà come un ladro di notte (1 Tss 5, 2).

Gesù Cristo ha il supremo diritto di giudicare con verità e giustizia tutti gli uomini, assegnando a ciascuno il premio o il castigo, a seconda dei meriti acquisiti in vita.

VUOI SAPERE, STANDO ALLA BIBBIA, COME DIO GIUDICA LE ALTRE RELIGIONI?

Nel Gennaio del 2016 fu diffuso uno video-spot con l’intenzione mensile da parte dell’Apostolato della Preghiera. Vi è la voce del Papa che invita al dialogo interreligioso; il tutto termina con quattro simboli religiosi, uno cristiano, uno buddista, uno islamico e un altro ebraico (per il Cristianesimo c’è una statuina del Bambino Gesù, che peraltro non è un simbolo…) messi bene in vista sullo stesso piano. Ebbene, non giudicare tutto questo “relativismo religioso” è come pensare che la pioggia asciughi e il sole bagni. Conviene, pertanto, fare un po’ di ripasso e chiedersi: Dio come giudica le altre religioni?

Prima di tutto va detto che Dio non può mai servirsi direttamente delle false religioni, così come non si servirebbe mai della menzogna. D’altronde questo succede anche nella vita di tutti i giorni: quale cuoco, per cucinare, si servirebbe di cibo avariato? O quale medico, per curare, di farmaci scaduti? E’ vero che chi appartiene ad una falsa religione può ugualmente salvarsi (nelle condizioni di ignoranza involontaria), ma –attenzione- si salva non perché ma malgrado appartenga ad essa.

Torniamo alla domanda: Dio come considera le religioni non cristiane? Può eventualmente gradirle, visto che queste sono anche espressioni di una certa religiosità naturale, anche se di una religiosità corrotta dal peccato originale? E se così fosse, ciò ci costringerebbe ad un qualche rispetto? Vediamo cosa dice la Sacra Scrittura. Preferiamo non commentarla perché è fin troppo chiara.

SAN LUIGI GONZAGA, ORA PRO NOBIS

Aforisma

Dio mi indica la vera felicità”.

La vita

S. Luigi Gonzaga nacque a Castiglione delle Stiviere presso Mantova, il 9 marzo 1568. Il parto fu molto difficile tanto da far temere per la vita della madre e del bambino, ma un voto alla Madonna di Loreto fece risolvere la situazione. Mamma Marta, contessa Tana di Santena, avviò il figlio fin da piccolo alla preghiera, mentre il padre Ferrante Gonzaga, appartenente alla corte spagnola di Federico II, cercò di indurlo subito alla vita militare portandolo con sé, a soli quattro anni, nella caserma di Casalmaggiore sul Po. Il piccolo Luigi, affascinato dalle armi da fuoco, una notte prese di nascosto della polvere da sparo e caricò un pezzo d’artiglieria. Con una buona dose d’incoscienza sparò, rischiando di essere schiacciato dal retrocedere dell’arma.
In caserma assimilò il volgare linguaggio dei soldati senza peraltro capirne bene il significato. Quella polvere sottratta e quella parlata oscena furono probabilmente le uniche mancanze della sua infanzia, il cui rimorso lo accompagnerà fino alla morte. All’età di sette anni avvenne la conversione: iniziò a recitare per diverse ore al giorno le orazioni “ordinarie”, i sette salmi penitenziali, l’ufficio della Madonna e i quindici salmi graduali.

SANTA GIOVANNA D'ARCO, ORA PRO NOBIS

Aforisma

Qualora io non sia in grazia, voglia Dio concedermi di diventarlo, e se lo sono, che Dio mi ci mantenga; perché sarei la persona più infelice del mondo se sapessi di non essere nella grazia di Dio!” 
 
La vita
 
Giovanna d’Arco nacque da una famiglia di umilissime condizioni, da una famiglia di contadini, a Domremy nell’anno 1412. Durante la Guerra dei Cento anni (1337-1453) si sentì chiamata da Dio a soccorrere il re di Francia e a scacciare gli Inglesi dal suolo francese. Nel 1429 raggiunse il DelfinoCarlo (futuro Carlo VII) nella città di Chinon, convincendolo ad affidarle il compito di tentare un’offensiva contro gli Inglesi. Riuscì a farsi accreditare presso la corte grazie a carismi straordinari.
Liberata Orleans dall’assedio (8 maggio 1429), vittoria che le valse il titolo di “Pulzella di Orleans”, dopo qualche giorno (18 maggio 1429) ottenne una nuova vittoria: a Patay inflisse una dura sconfitta alle armate inglesi. Queste due vittorie permisero la conquista del territorio francese fino a Reims e quindi l’incoronazione solenne del Delfino con il nome di Carlo VII. Reims era infatti la città dove da secoli avvenivano le consacrazioni dei Re di Francia. Ma, una volta incoronato Re, Carlo VII fu preso dal tipico spirito di compromesso di molti politici e decise di trattare con gli Inglesi. Giovanna non ci stette e decise di continuare a combattere da sola, senza l’appoggio della Corona.

C'ERA UNA VOLTA... STORIELLE E MEDITAZIONI PER I PIU' PICCOLI


LA STORIA (VERA) DI MARIUCCIA

Al preventorio i figli dei lebbrosi hanno commemorato con un simpatico festival l’anniversario dell’apparizione della Vergine in Fatima. Il palco era ripieno di fiori e di bandiere. Sul palco vi era un altare e sull’altare la Madonna. I bimbi hanno declamato le loro poesie e cantato i loro inni. Io ero presente perché avevo una missione da compiere. Importantissima. Dovevo consegnare a Mariuccia la bambola che le bambine di Milano le avevano offerto.
“Miei piccoli amici, nel mio breve viaggio in Italia ho raccontato così ai bambini di Milano la storia di Mariuccia:
- cerchiamo insieme sull’atlante geografico l’America Latina. La nazione più estesa è il Brasile: pensate, ventisei volte l’Italia! Leggiamo ora i nomi delle città brasiliane, che sorridono sulla costa dell’Oceano Atlantico: Santos, Rio de Janeiro, Bahia, Fortaleza, Parnaiba. Eccoci arrivati alla cittadina dove abito io, dove c’è il mio lebbrosario e dove vive pure Mariuccia.
È una storia molto triste quella di Mariuccia, storia iniziata otto anni fa nel lebbrosario. Fu proprio là in una casetta di paglia che nacque Mariuccia. L’infermiera era presente e si portò via subito la creaturina, senza permettere ai genitori di baciarla neppure una volta sola.
E Mariuccia crebbe al preventorio, senza mai vedere la mamma. Non sorrideva quasi mai ed aveva due occhioni così tristi che mi facevano male al cuore. Arrivò il giorno della prima Comunione e vidi arrivare in chiesa Mariuccia, bella nel suo vestito tutto bianco. Ma notai che, dopo aver ricevuto l’Ostia santa, ella nascose il viso tra le mani e tremava.
Usciti dalla chiesetta i bambini mi circondarono festosi, per ricevere i regali. Mariuccia però rimase nascosta in un angolo con la testina bassa.
Mi avvicinai:
Mariuccia, e tu non lo vuoi un regalo? -
Sì –
Cosa vuoi? –
Voglio vedere la mamma –

La portammo al lebbrosario. E la mamma venne, trascinandosi a stento. Ma rimase di là dal muro.
Mariuccia guardò quella donna stanca e tutta piagata, poi cominciò a tremare e a respirare forte, ed infine scoppiò in pianto.
Non si udì nemmeno una parola. Vedemmo solo due mani che si alzavano e si agitavano in segno di saluto e di addio
”.

RILEGGIAMO IL CONCILIO DI TRENTO - 24/DECRETO SUI RELIGIOSI E SULLE MONACHE E CONCLUSIONE

Lo stesso santo sinodo, proseguendo la riforma, ha creduto bene stabilire quanto segue.

Capitolo I


Il santo concilio non ignora quanto splendore e quanta utilità possa provenire alla chiesa di Dio dai monasteri piamente istituiti e rettamente governati. Perché, quindi, più facilmente e più prontamente venga ripristinata l’antica, regolare disciplina - dove è decaduta - e possa durare a lungo - dove si è mantenuta -, esso ha creduto opportuno comandare (come fa col presente decreto) che tutti i religiosi, sia uomini che donne, conformino e adattino la loro vita alle prescrizioni della regola che essi hanno professato.
In modo particolare osservino fedelmente quello che riguarda la perfezione della loro professione - come i voti e i precetti di obbedienza, povertà e castità, ed altri particolari precetti di qualche regola od ordine -, e, rispettivamente, quanto riguarda la conservazione della vita comune, del vitto, del vestito. I superiori pongano ogni cura e diligenza, sia nei capitoli generali e provinciali, che nelle loro visite, - che non trascureranno di fare a suo tempo - perché non si venga meno su questi punti, essendo chiaro che essi non possono usare larghezza in ciò che appartiene alla sostanza della vita religiosa. Se, infatti, non si osserveranno con esattezza quei punti che formano la base e il fondamento di tutta la vita religiosa, necessariamente dovrà cadere tutto l’edificio.

Capitolo II


A nessun religioso, quindi, sia uomo che donna, sia permesso possedere o tenere in nome proprio, o anche a nome del convento, beni immobili o mobili, di qualsiasi specie, anche se fossero stati acquistati da loro in qualsiasi modo; ma vengano subito consegnati al superiore ed incorporati al convento. Né sia lecito, in seguito, ai superiori concedere beni stabili ad alcun religioso, anche solo in usufrutto o in uso, in amministrazione o in commenda.

ELEMENTI DI CATECHESI - 27: GESU’ CRISTO DOPO LA RISURREZIONE

Che fece Gesù Cristo dopo la sua Risurrezione?
Gesù Cristo, dopo la sua Risurrezione, rimase in terra quaranta giorni; poi salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

Perché Gesù Cristo, dopo la sua Risurrezione, rimase in terra quaranta giorni?
Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione, rimase in terra quaranta giorni per mostrare che era veramente risuscitato, per confermare i discepoli nella fede in Lui e istruirli più profondamente nella sua dottrina.

Quando Gesù Risorto apparve la prima volta agli apostoli, Tommaso non era con loro, e al ritorno non volle credere al racconto degli altri. Otto giorni dopo Gesù apparve nuovamente e volle che lo scettico Tommaso toccasse con mano le cicatrici delle sue mani e del suo costato (Gv 20, 27-30).
In seguito Gesù apparve ai discepoli intenti alla pesca sul lago di Thiberiade (Gv 21, 1-14); poi sopra un monte della Galilea (Mt 28, 16-20) e molte altre volte, parlando del Regno di Dio e dando prove della sua risurrezione (At 1, 3). L’ultima apparizione avvenne mentre i discepoli erano a tavola (Lc 24, 44-49).

Nonostante il Signore li avesse rimproverati spesso della loro incredulità, gli apostoli si mostrarono restii nel credere ed ebbero bisogno di tante prove, le quali fortificano e rendono sicura la nostra fede.

Coloro che dovevano essere i predicatori e i maestri della fede in Cristo, durante la Passione erano fuggiti; e Pietro, che in seguito doveva essere il capo e il maestro di tutti, lo aveva vilmente rinnegato. Gesù, apparendo molte volte agli apostoli dopo la Resurrezione, volle confermare la loro fede e da Pietro volle la triplice confessione di fede e di amore (Gv 21, 15-18).

ANDANDO CONTRO NATURA, SI MUORE

Vorrei condividere una riflessione personale sul perché non bisogna utilizzare i contraccettivi nel rapporto sessuale. Lasciamo stare per un momento tutti gli argomenti morali o etici che potrebbero incorniciare il discorso (dato che nella nostra società la verità non è una sola ma ce n’è una a testa, ed è dunque difficile trattare brevemente un capitolo così ampio).

Parliamo in termini biologici.

La natura umana è portata a fare determinati atti (mangiare, bere, dormire, riprodursi) per sopravvivere. Pensate: se noi ci rifiutassimo di nutrirci, moriremmo soffrendo terribilmente per fame o disidratazione; se noi rifiutassimo di dormire, il nostro cuore smetterebbe di battere; se noi rifiutassimo di riprodurci, entro una sola generazione sarebbe estinta l’intera umanità. Ebbene, ci sono dunque questi atti naturali che dobbiamo fare per vivere e sopravvivere.

La natura però non è crudele in questo senso: non ci obbliga a nutrirci o a dormire o a riprodurci senza il nostro “consenso”. Difatti, quando facciamo uno di questi atti, proviamo piacere nel farlo, e dunque lo vogliamo fare. Pensate a un piatto di cui siete particolarmente golosi: il piacere di mangiarlo ci fa soddisfare il nostro bisogno di nutrirci in modo gradevolissimo. Se invece nutrirsi fosse un’azione disgustosa, o dolorosa, non lo faremmo. Per questo la natura ci aiuta nel compiere queste azioni accompagnandole al piacere.

Ora, ritornando ai contraccettivi. Perché non dovremmo usarli? Per lo stesso identico discorso.

La natura ha fatto sì che il rapporto sessuale fosse molto piacevole; in questo atto, l’uomo procrea, ovvero fa nascere una nuova vita. La natura, infatti, è finalistica: ci porta a fare l’atto sessuale per garantire la sopravvivenza della specie (questo è il fine), e il mezzo è il piacere.

Ora, facciamo un parallelo tra il mangiare e l’atto sessuale.

LA MIA LIBERTA' FINISCE QUANDO INIZIA QUELLA ALTRUI

Sono bigotto, oltranzista e reazionario, ed ecco perché nel 2017 (come se il tempo mutasse la verità), ancora ritengo che sia fondamentale lottare in nome di chi una voce non l’ha ancora, in nome della categoria sociale più debole, quella prenatale. Sembra che solo personaggi intrisi di moralismo Cristiano possano ancora credere che nel grembo dal concepimento in poi esista la vita, ma stupirà forse gli illuminati libertari scoprire che anche i più lontani dalla Fede hanno saputo separare l’etica dal desiderio. 
Il Mahatma Gandhi disse: “Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto sia un crimine”. Un personaggio lontanissimo dal mondo Cattolico, Pier Paolo Pasolini, negli Scritti Corsari dichiarò: “Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente.” 
 
Cerchiamo di essere onesti. Quando nello spazio vengono trovati batteri parliamo di vita (come è normale che sia, per quanto semplice ed elementare), e tuttavia un feto non viene riconosciuto come tale. Tralasciando la banalità per la quale da un giorno all’altro quello che per i benpensanti sarebbe un grumo di cellule diverrebbe improvvisamente vita umana (a 90 giorni un non uomo abortibile, dal giorno dopo, novantunesimo, sbam, essere umano), occorre osservare che chi sostiene l’aborto entro i tre mesi lo fa senza ragione scientifica, seppur di essa si rende portabandiera. 

GESÙ A MARIA VALTORTA

"(…) QUELLI CHE ALL’ULTIMA GIORNATA IMITERANNO GIUDA E VENDERANNO LA LORO ANIMA A SATANA NUOCENDO AL CORPO MISTICO DI CRISTO.
IN ESSI LA BESTIA AVRÀ I SUOI LUOGOTENENTI PER LA SUA ULTIMA GUERRA.


E GUAI A CHI IN GERUSALEMME, NEGLI ULTIMI TEMPI, SI RENDERÀ COLPEVOLE DI TALE PECCATO.

GUAI A COLORO CHE IN ESSA SFRUTTERANNO LA LORO VESTE PER UTILE UMANO.

GUAI A COLORO CHE LASCERANNO PERIRE I FRATELLI E TRASCURERANNO DI FARE DELLA PAROLA CHE HO LORO AFFIDATA PANE PER LE ANIME AFFAMATE DI DIO.
GUAI.

FRA CHI RINNEGHERÀ APERTAMENTE IDDIO E CHI LO RINNEGHERÀ CON LE OPERE, IO NON FARÒ DIFFERENZA.

E IN VERITÀ VI DICO, CON DOLORE DI FONDATORE ECCELSO, CHE ALL’ULTIMA ORA I TRE QUARTI DELLA MIA CHIESA MI RINNEGHERANNO, E LI DOVRÒ RECIDERE DAL TRONCO COME RAMI MORTI E CORROTTI DA LEBBRA IMMONDA.

MA VOI CHE RIMARRETE IN ME, UDITE LA PROMESSA DEL CRISTO. ATTENDETEMI CON FEDELTÀ E AMORE ED IO VERRÒ A VOI CON TUTTI I MIEI DONI. COL DONO DEI DONI: ME STESSO.

VERRÒ A REDIMERE E A CURARE.

C'ERA UNA VOLTA (2) - STORIA DI UN CHICCO DI GRANO

E’ venuta l’ora, nella quale il Figlio dell’uomo sarà glorificato. In verità, in verità vi dico che se il grano di frumento, caduto in terra, non muore, resta solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perderà, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.” (Gv 12, 23-25)

Come il seminatore ebbe terminato la sua opera, il chicco di grano venne a trovarsi tra due zolle di terra nera e umidiccia, e divenne terribilmente triste. Era buio, era umido, e l'oscurità e l'umidità aumentavano sempre di più, poiché al calar della sera s'era disciolta in pioggia fitta fitta. C'era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano fece proprio così: cominciò a frugare nella memoria per farne uscire il ricordo di tempi belli e non belli - cosa, come tutti sanno, che porta alla disperazione -.
Bei tempi quelli, quando il chicco di grano stava al caldo e al riparo in una spiga diritta e cullata dal vento, in compagnia dei fratellini! Bei tempi sì, ma così presto passati!

Poi era venuta la falce con il suo suono stridulo e devastatore, ad abbattere tutte le spighe. Poi i mietitori con i loro rastrelli avevano caricato sui carri le spighe legate in covoni. Poi, cosa più terribile ancora, i battitori si erano accaniti sulle spighe pestandole senza pietà. E le famigliole dei chicchi, vissute sempre insieme dalla più verde giovinezza, erano state sbalzate fuori dalle loro spighe, e i chicchi scaraventati in giro, ciascuno per conto suo, per non incontrarsi mai più.

ELEMENTI DI CATECHESI - 26: LA MORTE DI GESU’ CRISTO

Gesù Cristo morì come Dio o come uomo?
Gesù Cristo morì come uomo, perché come Dio non poteva né patire né soffrire.

La morte dell’uomo è la separazione dell’anima spirituale dal corpo materiale. Dio è semplicissimo, non ha parti e non può morire, perché è indivisibile in se stesso. Gesù Cristo come Dio non poteva quindi morire.
Inoltre, Dio è perfettissima beatitudine; la morte invece causa necessariamente ripugnanza e dolore. Gesù Cristo come Dio non poteva né patire né morire.
Infine, il dolore e la morte, che sono un male per chi li subisce, non potevano toccare la divinità di Gesù Cristo, che è il sommo Bene

Invece, il corpo di Cristo nella Passione sofferse l’oppressione del Getsemani, gli strazi dei flagelli e della corona di spine, le ferite delle battiture e le trafitture dei chiodi. Quando il dolore giunse alla massima intensità e Dio cessò dal sostenere miracolosamente in vita l’umanità di Cristo, che avrebbe dovuto soccombere fin dal principio della Passione, l’anima si separò dal corpo e il Salvatore emise lo spirito (Gv 19, 30). La morte di Cristo non fu apparente, ma reale e straziante. L’anima si separò dal Corpo, ma il Verbo restò unito realmente e ipostaticamente all’uno e all’altra.

CATTOLICI IN STATO CONFUSIONALE

Ogni tanto capita, con la stessa ripetitività delle stagioni. Una personalità del mondo cattolico rilascia un’intervista nella quale prende le distanze dall’insegnamento della Chiesa. A questo punto i giornali – giustamente – rilanciano con grande fragore la notizia, gli intellettuali discutono, il mondo cattolico ufficiale soffre in silenzio per non alimentare scandali. E il popolo dei fedeli rimane disorientato, stordito. Come un gregge nel quale qualche pecora si mettesse a contestare l’affidabilità del pastore.

In realtà, questi episodi hanno alcuni elementi fra loro comuni, che permettono di smascherarli per quello che sono: l’espressione dell’antica e mai sopita ambizione dell’uomo di essere norma a sé stesso. L’adesione alla Chiesa è un atto insieme di libertà e di sottomissione: fede e ragione si sostengono, ma l’atteggiamento richiesto al cuore dell’uomo è innanzitutto l’umiltà. Dio, e non l’uomo, è l’artefice della Creazione. E dunque, Dio e non l’uomo è il Legislatore. Dunque, la verità è stata affidata da Cristo alla Chiesa. Spetta al Papa custodirla, in conformità alla Tradizione e in comunione con i vescovi. I teologi, gli intellettuali, i sinodi, i convegni ecclesiali, e perfino i singoli vescovi sono voci senza dubbio interessanti; ma non sono la Chiesa.

LE MASCHERE INGANNANO I CIECHI

È innegabile, quella politica che quasi un secolo fa riuscì a imporsi in Europa, è tornata. Il fascismo, che secondo il sentire comune si associa esclusivamente alla violenza e al degrado, mancando spesso una consapevolezza storica degna di nota, sta avendo oggi un successo e un’escalation inquietante. Il fascismo, quello di Mussolini è morto con lui e la Repubblica Sociale, ma non siamo qui a dilapidare i vostri preziosi minuti per parlarvi di questa Italietta nostra. Nel mondo, e soprattutto negli Stati Uniti, la situazione è tra l’imbarazzante e il subumano. Sir Winston Churchill, figura sì discutibile e alquanto imbarazzante, che fu però il vincitore di Hitler, proferì parole ferree, che per noi, posteri della sua eredità, costituiscono un grave monito. “I fascisti del futuro si chiameranno antifascisti” disse, ma non fu il primo, né l’unico, anche Ignazio Silone disse lo stesso, e pure Ennio Flaiano proferì: “In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti.” La frase originale sembra derivare da Huey Long. Robert Counterell infatti riportò che il senatore democratico disse: “Quando il fascismo giungerà in America, verrà chiamato antifascismo”. Le recenti elezioni presidenziali hanno dimostrato la lungimiranza di questi uomini. Stravinte da Donald Trump, in contraddizione con le previsioni di tutta la stampa, dichiaratamente schierata con la candidata Neo-Con Hillary, hanno suscitato lo sdegno di molte persone.

LA MORTIFICAZIONE, ESERCIZI PER LA QUARESIMA

Siamo entrati nel secondo ciclo dell’anno liturgico, dove si contempla il Mistero della Redenzione. Precisamente, dal Mercoledì delle Ceneri fino alla prima Domenica di Passione, sarà Tempo Quaresimale.
Le ceneri che il ministro pone sul capo sono fatte con i rami d’ulivo benedetti l’anno precedente, e ci ricordano la nostra prossima morte in conseguenza del peccato. Inoltre, le ceneri sul capo servono per umiliare il nostro orgoglio: “Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”. Inizia in questo modo la Quaresima: con l’invito alla mortificazione di se stessi.

La mortificazione è la realizzazione del motto: “Ama ciò che Dio ha fatto, odia ciò che hai fatto tu”. Ciò che ha fatto Dio è la natura umana nella sua perfezione e bontà, ciò che ha fatto l’uomo è il peccato originale, con le sue conseguenze... per risanare la natura umana e per elevarla alla dignità di cristiana, è necessario eliminare i frutti della colpa d’origine, cioè le cattive tendenze: questa è la mortificazione.
La Chiesa insegna e precisa i modi della mortificazione, dimostrando al contempo una stupefacente conoscenza dell’anima umana, con le sue astuzie e debolezze: conoscenza che le è data dallo Spirito Santo, da Colui che, avendo creato l’uomo, lo conosce meglio di chiunque altro.

La mortificazione è conformazione a Cristo, è il necessario martirio quotidiano di chi crocifigge le proprie passioni disordinate, a maggior gloria di Dio”, S.Bernardo.

ELEMENTI DI CATECHESI - 25: LA VITA TERRENA E MIRACOLI DI GESU’ CRISTO

Che fece Gesù Cristo nella sua vita terrena?
Gesù Cristo, nella sua vita terrena, c’insegnò con l’esempio e con la parola a vivere secondo Dio, e confermò coi miracoli la sua dottrina; infine per cancellare il peccato, riconciliarci con Dio e riaprirci il Paradiso, si sacrificò sulla Croce, “unico mediatore tra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5).

Per salvarsi occorre compiere la divina volontà “vivendo secondo Dio”. Il Redentore, nostro Maestro, ci insegnò con l’esempio e con la parola quale sia la divina volontà e come la si metta in pratica.
Gesù, per oltre trent’anni, nella povera casa di Nazareth pratica la dottrina e la virtù che poi insegnerà con la predicazione durante la vita pubblica. Chi soltanto insegna è piccolo nel Regno dei Cieli; invece è grande colui che prima fa ciò che insegna, e quindi ammaestra (Mt 5, 19).
All’insegnamento dell’esempio segue quello orale; durante la vita pubblica, Gesù Cristo fece conoscere le verità necessarie da credere, le virtù da praticare, la legge divina da osservare.

SANTA SCOLASTICA, ORA PRO NOBIS

Aforisma

"Tacete, o parlate di Dio, poiché quale cosa in questo mondo è tanto degna da doverne parlare?"

La vita
 
Scolastica nacque attorno al 480 da una nobile famiglia di Norcia, in Umbria, in un paesaggio che aiutava la contemplazione di Dio attraverso il creato.
Sorella gemella di san Benedetto, fin da bambina aveva avuto una particolare attrazione per la vita consacrata a Dio. La preghiera, pura e ardente, e il desiderio del Cielo erano molto forti in lei. Il legame con Benedetto andava sempre più rafforzandosi grazie alla scelta comune della vita monastica che li rendeva in Cristo un’unica anima. Ella fu la prima monaca benedettina, in quanto fondò un monastero vicino a Piumarola, dando origine all’Ordine delle Benedettine, ramo femminile del medesimo ordine maschile fondato dal fratello. 

RILEGGIAMO IL CONCILIO DI TRENTO - 23/IL PURGATORIO

SESSIONE XXV (3-4 dicembre 1563)
Decreto sul purgatorio.

Poiché la chiesa cattolica, istruita dallo Spirito santo, conforme alle sacre scritture e all’antica tradizione, ha insegnato nei sacri concili, e recentissimamente in questo concilio ecumenico (403), che il purgatorio esiste e che le anime lì tenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e in modo particolarissimo col santo sacrificio dell’altare, il santo sinodo comanda ai vescovi che con diligenza facciano in modo che la sana dottrina sul purgatorio, quale è stata trasmessa dai santi padri e dai sacri concili (404), sia creduta, ritenuta, insegnata e predicata dappertutto.

Nelle prediche rivolte al popolo meno istruito, si evitino le questioni più difficili e più sottili, che non servono all’edificazione, e da cui, per lo più, non c’è alcun frutto per la pietà. Così pure non permettano che si diffondano e si trattino dottrine incerte o che possano presentare apparenze di falsità. Proibiscano, inoltre, come scandali e inciampi per i fedeli, quelle questioni che servono (solo) ad una certa curiosità e superstizione e sanno di speculazione.

CHIESA E IMMIGRAZIONE/13: L'ACCOGLIENZA INDISCRIMINATA E' LA NEGAZIONE DELL'AMORE DI DIO

“Obbligo d’accoglienza” dello straniero a qualsiasi costo anche contro il bene comune. E’ il nuovo dogma, non rivelato da Dio, ma propagandato pressoché senza distinzioni da tutte le centrali del potere massonico. 
E’ evidente che un cuore cristiano, potendolo, presta soccorso a chi si trova in grave difficoltà, ma la “religione dell’uomo” - che sembra ormai aver conquistato la quasi totalità dei presidi cattolici - impone quello dell’accoglienza come un “imperativo categorico” al quale si può solo “obbedire”. 
Quasi non è lecito riflettere alle circostanze e all’opportunità di talune azioni che ufficialmente si presentano come caritative, sotto pena di “scomunica mediatica”. Nolite cogitare.

Lo smarrimento è poi alimentato dalle dichiarazioni di certe autorità ecclesiastiche che spesso propagandano la confusione, predicando come dottrina cattolica concetti che sembrano piuttosto i frutti maturi del peggior mondialismo che non della dottrina di Gesù Cristo.

Intorno alla singolare tipologia d’immigrazione dei nostri giorni si aprono certo più questioni, che partono dal serio discernimento sulla natura di questi flussi, all’aiuto doveroso verso i fratelli, in primis verso cristiani d’Oriente; dalla necessità, per alcune realtà precise, di un possibile sostegno in loco - anche militare -, alla seria valutazione della presenza tra gli immigrati di molti lupi vestiti d’agnelli. 

RILIEVI SULLA FEDE DEI MAGI, PARLA GESU’

Dal Poema dell’Umo-Dio scritto da Maria Valtorta, possiamo leggere queste parole dette da Gesù riguardanti la fede dei Re Magi:

... Quei Savi d’oriente non avevano nulla che li assicurasse della verità. Nulla di soprannaturale. Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita integra faceva perfetta.

Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede nella bontà divina. Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova che non poteva che esser “quella” attesa da secoli dall’umanità: il Messia. Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo “voci” celesti, diceva loro: “E’ quella stella che segna l’avvento del Messia”. Per la bontà hanno avuto fede che Dio non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere allo scopo.
E sono riusciti. Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano nell’anima l’ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto che aveva a principale pensiero quello di dare subito a Dio lode e onore.
(...)

E si mettono in cammino dalle Indie lontane. Dalle catene mongoliche sulle quali spaziano unicamente le aquile e gli avvoltoi e Dio parla col rombo dei venti e dei torrenti e scrive parole di mistero sulle pagine sterminate dei nevai. Dalle terre in cui nasce il Nilo e procede, vena verde azzurra, incontro all’azzurro cuore del Mediterraneo, né picchi, né selve, né arene, oceani asciutti e più pericolosi di quelli marini, fermano il loro andare. E la stella brilla sulle loro notti, negando loro di dormire. Quando si cerca Dio, le abitudini naturali devono cedere alle impazienze e alle necessità sopraumane.