IL DESIDERIO DI INFINITO, L'UOMO E DIO

Un antico mito greco narra di Eos, l’Aurora “dalle dita di rosa”, che, innamorata perdutamente del bellissimo eroe Titone lo rapisce e supplica Zeus di concedergli il dono proibito dell’ immortalità. La preghiera viene esaudita, Titone ottiene di vivere in eterno come un dio, ma un madornale errore di Aurora lo condanna ad un misero destino: essendosi l’amante dimenticata di chiedere per lui anche una giovinezza senza fine, l’eroe si trova imprigionato in una condizione di progressivo declino fisico e perpetua vecchiaia, che fa sfiorire in lui ogni bellezza e vigore.

Spezzare i vincoli del tempo, dello spazio e della contingenza perché l’amato possa aver accesso ad una dimensione inesorabilmente preclusa ai mortali è un gesto eroico e ardito, espressione di un profondo anelito a sconfiggere la naturale caducità umana. La conclusione? Tragica. E’ quello che accade anche ad Orfeo, l’ispirato cantore che osa l’inosabile avventurandosi nell’Ade per riportare alla luce l’ombra della giovane moglie morta. Stesso amore folle, stesso tentativo frustrato di trionfare sulle leggi del Fato e della natura.

Il mito nasce con l’uomo ed è la quintessenza dell’umano; se non cessa mai di incantare con il suo fascino intere generazioni è perché in esso emergono, vivide e tangibili, quelle che sono le passioni, le angosce, le aspirazioni più vere e spontanee del nostro essere. Lo slancio a superare le barriere della morte, ad esempio, rappresenta la più alta e profonda espressione della natura dell’uomo di tutti i tempi, dai primordi della civiltà fino ai giorni nostri. E’ in questa innata tensione all’Infinito, all’Eterno che si cela il senso ultimo del destino umano, il fine supremo di noi, fragili creature mortali che popolano un macrocosmo dove tutto passa, tutto scorre, tutto è limitato, precario, caduco.

SAN BONAVENTURA: I PRODIGI DELLA NOTTE DI NATALE

San Bonaventura è una delle figure più alte della Chiesa nell’epoca medioevale.
Nato nel 1217 a Bagnoregio (VT), entrò nel 1243 nell’ordine francescano, per conto del quale insegnò come maestro di teologia all’Università di Parigi. Nel 1257 il capitolo generale dei frati minori, riunito a Roma, lo elesse ministro generale, e come tale nel 1260 fu uno degli artefici delle prime costituzioni generali dell’ordine. Nel 1273 venne nominato cardinale e vescovo di Albano da Papa Gregorio X, che lo fece partecipare al Concilio ecumenico di Lione; ma proprio alla fine del Concilio, nel 1274, Bonaventura morì.
Canonizzato nel 1492, nel 1588 fu proclamato Dottore della Chiesa, e ricevette il titolo di Doctor Seraphicus per la luminosità della sua dottrina e per l’ardore del suo insegnamento. Oltre a scrivere numerose opere, il santo predicò celebri sermoni, fra i quali il Sermone XXI De nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, che illustrava alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale.
Ne presentiamo qui sotto una traduzione dal testo originale latino.

«Questi, secondo diverse testimonianze, sono i miracoli manifestatisi al popolo peccatore il giorno della Natività di Cristo.

Primo – Una stella splendente apparve nel cielo verso Oriente, e dentro di essa si vedeva la figura di un bellissimo bambino sul cui capo rifulgeva una croce, per manifestare la nascita di Colui che veniva a illuminare il mondo con la sua dottrina, la sua vita e la sua morte.

Secondo – In Roma, a mezzo giorno, apparve sopra il Campidoglio un cerchio dorato attorno al sole – che fu visto dall’Imperatore e dalla Sibilla raffigurante al centro una Vergine bellissima che portava un Bambino, volendo così rivelare che Colui che stava nascendo era il Re del mondo che si manifestava come lo «splendore della gloria del Padre e la figura della sua stessa sostanza» (Ebrei 1,3).
Vedendo questo segnale, il prudente Imperatore (Augusto) offrì incenso al Bambino, e da allora rifiutò di essere chiamato dio.

Terzo – In Roma venne distrutto il “tempio della Pace”, sul quale, quando era stato costruito, i demoni si domandavano per quanto tempo sarebbe durato. Il vaticinio fu: «fino al momento in cui una vergine concepirà». Questo segnale rivelò che stava nascendo Colui che avrebbe distrutto gli edifici e le opere della vanità.

Quarto – Una fonte di olio di oliva sgorgò improvvisamente a Roma e fluì abbondantemente, per molto tempo, fino al Tevere, per dimostrare che stava nascendo la Fonte della pietà e della misericordia.

Quinto – Nella notte della Natività, le vigne di Engadda, che producevano balsamo e aromi, si coprirono di foglie e produssero nettare, per significare che stava nascendo Colui che avrebbe fatto fiorire, rinnovare, fruttificare spiritualmente e attirare con il suo profumo il mondo intero.

Sesto – Circa trentamila ribelli furono uccisi per ordine dell’Imperatore, per manifestare la nascita di Colui che avrebbe conquistato alla sua Fede il mondo intero e avrebbe precipitato i ribelli nell’inferno.

Settimo – Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo:«È nata una luce per il giusto», per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità.

Ottavo – Nella Giudea un animale parlò, e lo stesso fecero anche due buoi, affinché si comprendesse che stava nascendo Colui che avrebbe trasformato gli uomini bestiali in esseri razionali.

Nono – Nel momento in cui la Vergine partorì, tutti gli idoli dell’Egitto caddero in frantumi, realizzando il segno che il profeta Geremia aveva dato agli egiziani quando viveva tra loro, affinché si intendesse che stava nascendo Colui che era il vero Dio, l’unico che doveva essere adorato assieme al Padre e allo Spirito Santo.

Decimo – Nel momento in cui nacque il Bambino Gesù, e venne deposto nella mangiatoia, un bue e un asino si inginocchiarono e, come se fossero dotati di ragione, Lo adorarono, affinché si capisse che era nato Colui che chiamava al suo culto i giudei e i pagani.

Undicesimo -–Tutto il mondo godette della pace e si trovò nell’ordine, affinché fosse palese che stava nascendo Colui che avrebbe amato e promosso la pace universale e impresso il sigillo sui propri eletti per sempre.

Dodicesimo – In Oriente apparvero tre stelle che in breve si trasformarono in un unico astro, affinché fosse a tutti manifesto che stava per essere rivelata l’unità e trinità di Dio, e anche che la Divinità, l’Anima e il Corpo si sarebbero congiunti in una sola Persona.

Per tutti questi motivi la nostra anima deve benedire Dio e venerarlo, per averci liberato e per avere manifestato la sua maestà, con così grandi miracoli, a noi poveri peccatori».

(corrispondenzaromana.it) 

LA BELLEZZA E LO STUPORE DELLA MESSA IN RITO ANTICO


Il 16 novembre scorso, nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Città Alta, abbiamo avuto la grazia di partecipare alla Santa Messa in rito antico celebrata da tre sacerdoti e ben dieci seminaristi della Fraternità Sacerdotale San Pietro di Wigratzbad (Germania). Un fatto molto raro che accade nella nostra diocesi!!!
Ogni gesto, ogni riverenza, ogni preghiera, ogni canto ci hanno comunicato la bellezza che è racchiusa nel rito antico. E' stato come essere in paradiso!!!
Riportiamo il Vangelo di quella domenica con la trascrizione dell' efficace omelia di Mons. Ravotti
Per guardare le foto collegarsi al seguente link: https://plus.google.com/photos/116773484573840928555/albums/6083714173219772737?authkey=CIGYsIi53c-hjAE

(Alberto e Rossana)

(Mt 9, 18-26) In quel tempo mentre Gesù parlava alle turbe ecco che uno dei capi gli si accostò dicendo: Signore or ora mia figlia è morta ma vieni, poni la Tua mano su di lei e vivrà. Gesù alzatosi, gli andò dietro con i suoi discepoli. Quand'ecco una donna che da dodici anni pativa una perdita di sangue, gli si accostò da dietro e toccò il lembo della Sua veste; diceva infatti tra sé – Se solo riuscirò a toccare la Sua veste, sarò guarita -. Gesù rivoltosi e vedutala, le disse: “Abbi fiducia o figlia: la tua Fede ti ha salvata”. E da quel momento la donna guaì. Giunto che fu alla casa del capo, vedendo dei suonatori e una turba di gente rumoreggiante, disse: “Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta ma dorme”. E Lo deridevano. Ma dopo che la gente venne fatta sgombrare, Egli entrò, prese la giovane per mano ed ella si alzò. E la fama di Gesù si diffuse per tutto quel paese.


Omelia di Mons. Jean Pierre Ravotti (trascrizione by Elena Milani)

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, così sia.

Ecco, carissimi amici, siamo giunti qui a Bergamo da orizzonti diversi: ci sono innanzitutto Don Calvini e i seminaristi che giungono da Wigratzbad ed è questo il motivo che ha determinato questo nostro incontro; poi, mi pare, oggi c'è questo vostro peregrinare qui a Santa Maria Maggiore per venerare la Vergine Maria e per vivere la grazia unica e ineffabile di questo momento eucaristico e poi, permettetemi di aggiungere, ci sono anch'io, arrivato dalla diocesi di Mondovì e per l'amicizia con don Calvini ed i seminaristi ho voluto unirmi a voi oggi in questo giorno; ecco voi sapete che siamo nelle ultime domeniche dell'anno liturgico; il pensiero si fa anche un po' più grande, un po' più riflessivo, soprattutto il pensiero orientato verso le ultime verità: queste ultime verità alle quali, nel mondo di oggi, preoccupato soprattutto di godersi la vita, si pensa così poco: la venuta del Signore, il giudizio di Dio sulla nostra vita.
Ecco credo che occorre sottolineare come la liturgia di queste ultime domeniche dell'anno liturgico sia un invito a pensare alle ultime realtà: al giudizio di Dio sulla nostra vita, alla nostra capacità di Fede e per così dire anche alla qualità della nostra Fede. Vi sono nel Vangelo anche - non dimenticatelo carissimi - delle parole preoccupanti del Maestro: quando il Figlio dell'uomo tornerà troverà la Fede sulla terra? In alcune pagine che a noi sembrano veramente - e lo sono – drammatiche, ecco si ha l'impressione che la Fede non sia mai poi così scontata per l'umanità. Si ha l'impressione che la Chiesa negli ultimi tempi dovrà essere segnata da grandi prove - questo il Vangelo lo lascia comprendere chiaramente -. Allora come rispondere a questa situazione per certi versi drammatici? La parola di Dio in questa ventitreesima domenica dopo Pentecoste risponde infondendo nei nostri animi la speranza, la fiducia, il coraggio: mi pare che tutti i testi della liturgia di questa domenica, per iniziare dal canto di ingresso, sono un invito alla fiducia nel Signore. Da cosa nasce - carissimi - questa nostra fiducia? Nasce dalla certezza che Dio ascolta sempre la nostra preghiera. C'è anche tra i vespri della liturgia di questa domenica il primo versetto del De Profundis che non solo è la preghiera per i defunti ma che un grido immenso di speranza, e di fiducia: - dal profondo Signore io grido a Te, Signore ascoltami -. 
Leggete, meditate il De Profundis che è veramente la preghiera dell'uomo provato, dell'uomo derelitto, dell'uomo angosciato: chi non si angoscia difronte alla morte, chi non si angoscia difronte alla strada intrapresa dalla nostra società (e qui c'è ben di che preoccuparci)? Ma nonostante tutto i nostri occhi devono essere rivolti al Signore, a Lui che è la fonte della nostra fiducia, a Lui che è la fonte della nostra speranza (e vorrei ricordarvi, carissimi, che aver Fede, contrariamente a quanto pensano alcuni intellettualoidi, aver Fede non vuol dire aver chiarito tutti i nostri problemi con la nostra testa. Certo, non ci è proibito di pensare e di essere dei cristiani intelligenti: non sta scritto da nessuna parte che dovremmo essere più stupidi degli altri, semmai il contrario. Però ricordatevi che la Fede non è prima di tutto una questione di intelligenza; la Fede è una questione di fiducia. Credere significa fidarsi di Dio. Lo dice l'etimologia stessa della parola -fides- anche in italiano. Per noi italiani è ancora più facile comprenderlo: tra -fides- e -fiducia- c'è la stessa radice etimologica. La Fede essenzialmente è questione di fiducia. Credere significa non comprendere il mistero di Dio: cosa volete che comprenda la nostra testolina dell'immenso mistero di Dio? Ma credere significa poggiare su Dio. Essere certi che il Signore è lì presente e operante). 
Mi piace, carissimi, ricordarvi le parole di Paolo che sono davvero stupende in questo brano della lettera ai Filippesi. L'apostolo che osa dire ai suoi cristiani - Fatevi miei imitatori-. Chi di noi potrebbe dire la stessa cosa? Ecco, fatevi miei imitatori, eppure nella coerenza della nostra vita cristiana dovremmo poter dire agli altri -Fatevi miei imitatori, vivete secondo l'esempio che vi diamo-. Ecco, il cristiano, e questo per noi è chiarissimo, il cristiano non ha come riferimento il mondo; il cristiano ha come riferimento Gesù Cristo. Il cristiano ha come riferimento coloro che vivono nella grazia di Gesù Cristo, e la Chiesa, pur tra tante debolezze e tanti peccati, la Chiesa risplende anche - bisogna sottolinearlo - per questa immensa fiducia nel Signore e per questa vita in conformità con la volontà di Dio. L'apostolo qui sottolinea alcuni comportamenti del mondo che sono ben lontani e che addirittura l'apostolo definisce nemici della Croce di Cristo.
I nemici della Croce di Cristo sono anche attorno a noi, nel mondo di oggi, coloro che si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi. Nelle tante scelte concrete della società di oggi anziché glorificarci come lo fa la società pensando che tutto sia una conquista civile o una conquista sociale. Penso per esempio al divorzio, all'aborto e mettetene finchè volete, queste scelte assurde poiché anzichè scelte di avvenire e di vita sono scelte di morte; ecco, di queste scelte gli uomini dovrebbero vergognarsi. Ha ragione l'apostolo: dovrebbero vergognarsi... non parliamo poi di certe altre scelte folli che sta facendo la società di oggi (risparmiatemi di dover scendere in concreto perché farei delle polemiche che non finiscono mai... e giustamente! giustamente si polemizza perché sono scelte folli, scelte all'opposto della luce di Dio e all'opposto della volontà di Dio. Pensate al matrimonio tra persone dello stesso stesso: realtà aberranti... aberranti veramente). Qui ha ragione l'apostolo: questa gente dovrebbe vergognarsi delle scelte che fa; queste persone si comportano da perfetti nemici di Cristo. L'apostolo invece invita i cristiani a rimanere fermi; attenzione, carissimi, -fermi- non significa che dobbiamo essere immobili; -fermi- significa che dobbiamo essere radicati nel Signore; ecco la fermezza per noi cristiani; la fermezza significa essere ancorati in una fedeltà senza discussione al Vangelo del Signore Benedetto. 
E allora l'apostolo semina così dei consigli ad alcuni cristiani della comunità di fedeli e questo ci dimostra che l'insegnamento evangelico non soltanto è una bella teoria ma l'insegnamento evangelico scende anche nella pratica. Qui l'apostolo parla a due donne di cui non sappiamo granchè. Però percepiamo dal contesto che queste donne dovevano litigare tra di loro. Vorrei fare una battuta umoristica: le donne quando sono in pace sono veramente grandi e formidabili, ma quando le donne si mettono a litigare sono guai senza fine! Mi direte: ma anche per gli uomini vale la stessa cosa! Sì, ma le donne vanno sempre oltre perché fanno le cose con maggiore pienezza degli uomini! Tornando a noi, probabilmente queste due donne, Evodia e Sintiche, non erano in buona armonia fra di loro e l'apostolo invita queste donne a ravvedersi; e tanto più è sorprendente il fatto che se voi studiate il nome greco di queste due cristiane, Evodia e Sintiche, vedrete che il loro nome significa pace, incontro, dialogo (evodio è la via dell'incontro, sintiche l'incontro proprio, essere insieme). L'apostolo sembra quasi fare dell'umorismo: voi che avete questi nomi così belli! ma non basta avere dei nomi belli. Ci si può anche chiamare Ilario e non essere sempre portatore di gioia. Faccio l'esempio di Ilario, ovviamente Ilario significa gioia quindi l'apostolo sembra quasi fare un po' di umorismo e dire a queste due cristiane: siate fedeli al nome che portate. vivete in buona intelligenza, vivete in pace. Vorrei, per terminare e per non esasperare anche la vostra pazienza, sottolineare la luce di questa pagina di Vangelo: la guarigione. Sono due i miracoli che si intrecciano in questa bella pagina di Matteo: quella della figlia del capo ebraico e poi la cosiddetta Emorroissa. Vorrei sottolineare che questo Vangelo mette in luce la Fede dei piccoli e noi, credo tutti, ci sentiamo davvero parte di questi piccoli, di questi umili, ai quali il Signore rivela i suoi misteri.
Quello che conta, credetemi, davanti al Signore non è il glorificarci della nostra cultura, della posizione che abbiamo... quello che conta davvero davanti al Signore è l'umiltà, la fiducia con la quale ricorriamo a Lui, la semplicità con la quale spontaneamente diamo prova di fiducia nel Signore...e qui ce ne dà una grande esempio la cosiddetta Emorroissa del Vangelo. Una donna straordinaria, una donna la cui fiducia illimitata - notate che si accosta a Gesù con grande umiltà – le farà dire: - Se riuscirò soltanto a toccare la frangia del suo abito sarò guarita- . Non vi sembra questa, carissimi, la Fede degli ultimi, questi ultimi che non hanno grandi capacità di riflessioni teologiche ma entrano nelle nostre Chiese e non fanno i turisti; entrano nelle nostre Chiese ma accendono una candela perché non sanno fare altro e si rivolgono al Signore con fiducia e vanno a deporre la mano magari sull'immagine della Beata Vergine Maria? Ecco, se riuscirò soltanto a toccare sarò guarita: non vi sembra questa la Fede degli ultimi, la Fede dei piccoli? E' questa Fede che dobbiamo nutrire nei nostri cuori. Davvero, carissimi, che il Signore -anche attraverso questa bella liturgia domenicale che ci riempie di luce, ci riempie di gioia (vi confido che celebro questa Messa, pur tra qualche incertezza rituale, veramente con molta emozione) ci conceda questa grazia: la grazia di avere la Fede dell'Emorroissa, di avere la Fede di questi ultimi del Vangelo, per poter sperimentare che proprio come canta il salmista: Eterna è la misericordia!

Così sia.

SE NON C'E' UNA RAGIONE PER VIVERE...NON C'E' NEMMENO UNA RAGIONE PER ESSERE ONESTI

Gilbert Keith Chesterton scrive in Ortodossia: “I materialisti non riescono mai a comprendere bene neppure il mondo: fanno affidamento in tutto e per tutto su poche massime ciniche non vere. Ricordo che una volta stavo passeggiando con un facoltoso editore, il quale fece un’osservazione che avevo già sentito in altre occasioni; si tratta, in effetti, quasi di un motto del mondo moderno. (…). L’editore disse di qualcuno: ‘Quell’uomo farà strada perché crede in se stesso.’ (…). Gli dissi: ‘Vuole che le dica dove si trovano gli uomini che più credono in se stessi? Perché glielo posso dire. (…) Gli uomini che davvero credono in se stessi stanno nei manicomi.”
Chesterton ha ragione: una delle più grandi follie è quella di credersi sicuri di sé. Attenzione: non semplicemente sicuri, ma sicuri di sé. C’è differenza. Sentirsi sicuri è una virtù, e il non averla può generare problemi, problemi –appunto- di “insicurezza”. Sentirsi sicuri di sé è un’altra cosa. Vuol dire essere convinti che la propria persona può risolvere tutto, che la chiave sta in se stessi, che ognuno può salvarsi da sé, che ognuno è del tutto autosufficiente.
Si deve essere sì sicuri, ma sicuri perché c’è qualcun altro che sostiene, perché si è convinti di non esser soli nell’avventura della vita, perché quell’implorazione e quell’invocazione che scaturiscono dal cuore non possono andare perdute, perché c’è Qualcuno che accoglie quell’implorazione e quell’invocazione e che queste non si smarriranno in un infinito senza risposta.

Perché, cari pellegrini, è bene dedicare la sosta di questo mese di dicembre 2014 ad un argomento come questo?
Perché in questi giorni i mezzi d’informazione ci stanno presentando l’ennesimo caso di corruzione politica, anzi: di commistione tra mafia e politica.
Ebbene, sentendo queste notizie, può lievitare una tentazione, quella di pensare che ciò che è stato ancora una volta scoperto sia l’esito di problemi strutturali, di sistema, d’incapacità da parte dei partiti di non saper “filtrare” adeguatamente e quindi di non saper evitare che disonesti possano “infiltrarsi” e fare i loro sporchi interessi. Oppure (un’altra tentazione) pensare che basterebbe l’educazione civica, e anche un eticismo moralista sparso un po’ di qua e un po’ di là, per cercare di sensibilizzare gli uomini (soprattutto le giovani generazioni) al “rispetto della legalità”, come oggi si ama dire.
No. Queste sono sciocchezze! Il problema è antropologico. Cioè è un problema legato all’uomo. Alla sua natura e al suo destino.
Alla sua natura, perché l’uomo è “ferito”. C’è poco da fare, tutti coloro che negano il peccato originale e le sue nefaste conseguenze, sono poi incapaci a spiegare il mistero dell’uomo e sono costretti a tradire quell’intelligenza che serve per capire adeguatamente la realtà. E’ ciò che ci ha detto Chesterton: “I materialisti non riescono mai a comprendere bene neppure il mondo: fanno affidamento in tutto e per tutto su poche massime ciniche non vere.” Ma davvero si può credere che basterebbe costruire una società ben funzionante per far sì che l’uomo scelga l’onestà, l’altruismo, il costante rispetto delle regole? Un conto è parlare di influenza che la società può avere sulle scelte individuali, altro di determinismo automatico. Da una famiglia sana più facilmente cresceranno dei figli moralmente sani, ma non c’è alcun automatismo; così da una famiglia di delinquenti più facilmente verranno fuori figli che sceglieranno la delinquenza, ma anche qui non c’è alcun automatismo di sorta.

Ma, cari pellegrini, dicevamo che il problema non è solo antropologico ma è anche legato al destino dell’uomo. Se non c’è una vera ragione per vivere, facilmente viene meno anche una vera ragione per essere onesti e per fare tutto ciò che è giusto fare.
L’unica ragione è riconoscere che la propria vita non è frutto del caso, che non siamo “gettati” nel mondo, ma esito di un progetto, che c’è un Logos che fonda la nostra vita e che, se liberamente corrispondiamo, è disposto ad accompagnarci.
Solo questa Ragione ci dà un motivo serio per sacrificarci, per essere responsabili, per essere coraggiosi nel saper dominare noi stessi, le nostre brame, la sete e la fame di potere, la ricerca spasmodica di trovare in questo mondo l’unico spazio per imporre noi stessi.
Solo questa Ragione ci fa capire la bellezza di rimanere fedeli, di rimanere fedeli al vero, a quel vero naturale che senza equivoci ci presenta il bene come bene e il male come male.
Ma se questa Ragione non c’è … meglio: se questa Ragione la si è voluta cancellare dalla vita degli uomini, dalla società, dall’azione politica, dalla cultura, da tutto, è da stolti lamentarsi e chiedersi stupidamente il perché di ciò che accade, il perché di questa corsa al danaro, di questa corsa ad alzare sempre più l’asticella dei propri desideri.

 (Corrado Gnerre - ilgiudiziocattolico.com)